Fino a poco tempo fa si faceva
risalire la fondazione di San Sosti al XVI secolo dopo Cristo ad opera degli
Albanesi in fuga dalla persecuzione turca. Questa però era la tesi di semplici
appassionati di storia locali non correlata da alcun dato scientifico. Anche
per quanto riguarda il nome, in passato sono state avanzate ipotesi
assolutamente fantasiose: si faceva risalire l’origine a “Santa Sosta”, cioè,
riferito al fatto che era luogo di sosta per i pellegrini che si recavano al
Pettoruto.
Ma già a partire dagli ultimi
anni Novanta, queste favolette al quanto fantasiose, incominciano ad essere
smentite da una ricerca seria, condotta con metodo scientifico. I primi dati
furono acquisiti durante i lavori di restauro della chiesa madre di Santa
Caterina di Alessandria. Durante il fermo dei lavori deciso dalla
Sovrintendenza per i beni Architettonici della Calabria fu condotto un saggio
di verifica nella zona presbiteriale della navata destra. In quella occasione
furono riportati alla luce i resti di strutture murarie che facevano parte
della prima chiesa di età bizantina. Dalla ricerca stratigrafica sono stati
recuperati frammenti di ceramica invetriata databili tra il X e l’XI secolo; ma
l’elemento datante più importante è un follis (moneta in bronzo)
dell’Imperatore d’Oriente Leone III Isauro, risalente al 717/720, conservato
presso il Museo Nazionale della Sibaritide.
Ma furono gli scavi archeologici
all’interno della chiesa del Carmine che spostarono la datazione di almeno 2
500 anni.
Lo scavo, iniziato i primi di
Febbraio e terminati i primi di Aprile 2004, condotto dalla Sovrintendenza per
i Beni Archeologici della Calabria in collaborazione con la Cattedra di
Archeologia Cristiana e Medievale dell’Unical, ha restituito le prime tracce di
frequentazione umana dell’area dove attualmente sorge il centro abitato,
risalenti al XIV-XIII sec. a.C., consistenti in una porzione del battuto di una
capanna protostorica e diversi frammenti di vasi acromi e dipinti risalenti a
quel periodo. In base a questi ritrovamenti si può affermare con certezza che
il primo nucleo abitato di San Sosti risale almeno al XIV secolo prima di
Cristo. Lo scavo eseguito nell’area presbiteriale ha restituito una sequenza
stratigrafica ininterrotta (sia pure disturbata da rimaneggiamenti avvenuti nel
corso dei secoli), dall’età protostorica al tardo-Medioevo. Ad una quota di
livello superiore rispetto alla capanna dell’età del Bronzo è stato riportato
alla luce parte di un muro a secco, ciò che rimane di un santuario greco
risalente alla fine del VI sec. a.C.
A livello di fondazione del muro
sono state rinvenute tre fosse votive, di cui solo una ancora sigillata al
momento del rinvenimento e non disturbata, colma di oggetti votivi
miniaturistici. Era usanza presso i greci e i romani scavare delle buche nei
santuari e riempirli con gli ex-voto offerti dai fedeli. Da una di queste fosse
proviene la testina in terracotta raffigurante la dea Atena, risalente al V
sec. a.C., numerosi frammenti di statuette di divinità femminili stanti o in
trono e un cospicuo frammento di scultura maschile. Particolarmente
interessante è la porzione di statuetta maschile,
nuda e stante. Si tratta di ciò che rimane di una piccola scultura di un kouros,
cioè un giovane atleta in atteggiamento auto-celebrativo, simbolo della
vittoria ai Giochi Olimpici; questo rinvenimento potrebbe costituire un
ulteriore indizio per l’individuazione del luogo del rinvenimento della scure
martello conservata presso il British Museum di Londra.
Sono piuttosto frequenti i
rinvenimenti archeologici sia nel centro storico, sia nelle periferie: in via
Piano della Fiera, durante i lavori per la realizzazione del metanodotto sono
stati rinvenuti due contesti di età romana imperiale; nel primo caso (di fronte
la croce del cimitero) si tratta di una grande struttura rettangolare, di età
tardo-romana; nel secondo caso (stazione Carabinieri), si tratta di una
struttura di età romana, risalente al I-II sec. d.C.
In via Cavour (non molto lontano
dalla chiesa del Carmine), durante i lavori di restauro e consolidamento
strutturale (abitazione del Sig. Vito Romolo), sono ritornati alla luce
centinaia di frammenti ceramici e porzioni di strutture murarie di età romana.
Tra i numerosi reperti, una moneta in bronzo (sesterzio) dell’imperatore
Vitellio (69. d.C.) e una porzione di bottiglietta porta-profumo databile tra
il IV e il III sec. a.C.
I reperti sono attualmente
conservati presso il Museo Nazionale della Sibaritide.
Anche in via Prato (u Suppuartu)
è stato riportato alla luce un importante contesto archeologico
inspiegabilmente distrutto in corso d’opera: un tratto di basolato di età
romana e molti reperti archeologici, raccolti dallo sterro e consegnati alla
Sovrintendenza per i Beni Archeologici della Calabria. Tra questi si segnala
una cospicua porzione di Anfora del tipo Dressel L1 (III-II sec. a.C.),
frammenti di ceramica a “pasta grigia” di tipo metapontino (III-II sec. a.C.),
un cospicuo frammento di coppa in sigillata chiara (I-II sec. d.C.).
La collina dove attualmente sorge
il centro abitato di San Sosti presenta, dunque, una continuità insediativa
ininterrotta dall’età del Bronzo medio (XV-XIV sec. a.C.) fino ai giorni nostri.
A. Martucci
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