martedì 24 marzo 2015

La città fortezza dei Casalini e il mistero della "Principessa"






PARTE II

Le ultime indagini stratigrafiche condotte nell'area sud-est del sito, hanno fornito nuovi importanti sviluppi nella ricerca circa la frequentazione dell'area.
E' stato scavato un lungo tratto di cortina difensiva che proteggeva il fianco ovest-est della fortificazione. Si tratta di una muratura realizzata con grandi blocchi di pietra squadrati e posti in opera con uno spesso allettamento di malta molto tenace; i dislivelli sono ripianati con zeppe di pietra e qualche laterizio. Le strutture raggiungono uno spessore di 90 cm. 
Fino al 2001 non si conosceva l'esistenza di questa ulteriore cortina difensiva, ciò sta a significare che già in età bizantina la città si era ridimensionata alla sola sommità del monte. Questa terza fortificazione è databile tra il VI e il VII sec. d.C. , siamo quindi di fronte a ciò che resta di un antico castron tardo romano. Il muro di cinta era rinforzato da torri quadrate e rettangolari; L'ingresso alla città bassa pare fosse situato sul lato occidentale dove si nota una grande porta protetta da ben due torri. Tra i reperti rinvenuti durante lo scavo si segnala un orecchino finemente lavorato che trova confronto con un esemplare rinvenuto a Costantinopoli databile tra il 530 e il 550 d.C.; Un fermaglio per capelli in osso decorato ad incisioni e una fibula femminile; In associazione a questi elementi sono stati rinvenuti frammenti della calotta cranica umana: ciò significa che questi materiali provengono dalla distruzione di una sepoltura femminile che, in base alla raffinata qualità degli oggetti rinvenuti, è da ritenersi siano appartenuti ad una figura di alto rango. 
Da qui nasce il "Mistero della Principessa dei Casalini".
Chi era la misteriosa dama? 
Solo nuove campagne di scavo in estensione potranno fare  luce sul mistero che avvolge questa straordinaria figura vissuta 1600 anni fa.


sabato 14 marzo 2015

La città fortezza dei Casalini

PARTE I

La città fortezza dei Casalini, impropriamente denominata "Artemisia", si eleva ad una quota di 896m s.l.m. , posta all'imbocco del fiume Rosa, sulla sommità del Monte Milora a strapiombo sulla Basilica Regionale della Madonna del Pettoruto.
Le evidenze monumentali si riferiscono ad un "castrum" bizantino costruito tra il IX e il X secolo d.C. su un contesto abitativo molto più antico. Le prime tracce di vita risalgono al Paleolitico Finale (VI - VII millennio. a.C. ), consistenti in frustoli di ceramica ad impasto cruda con decorazioni graffite sulle superfici esterne, in prossimità della spalla e del ventre oppure di frustoli di ceramica ad impasto cotti in fornaci "a catasta". Ma la fase meglio documentata dagli scavi archeologici del 2001 e del 2003 condotti dalla Cattedra di Archeologia Cristiana e Medievale dell'UNICAL è quella del Neolitico Recente: è stato rinvenuto il battuto di una capanna databile tra il IV e il III millennio a.C. ; Qui sono stati rinvenuti numerosissimi frammenti di ceramica d'impasto ed uno strato di cenere fossile che raggiunge uno spessore di 10 cm il che attesta una frequentazione piuttosto lunga dell'ambiente abitativo. E' particolarmente presente l'ossidiana, cioè una roccia vulcanica vitrea che veniva usata come mezzo di scambio (una sorte di monetizzazione). La presenza dell'ossidiana attesta i rapporti tra l'abitato preistorico dei Casalini e la costa Tirrenica. La capanna risulta tagliata da un grande edificio a pianta quadrangolare di età bizantina (X - XI sec. d.C. ).
Anche l'età del Ferro è attestata dalla ceramica ad impasto e, in qualche caso, dipinta.
Non si hanno attestazioni di frequentazione per l'età greca, fatta eccezione per qualche frustolo di ceramica a vernice nera, comunque decontestualizzata.
L'età romana è attestata dal rinvenimento di alcuni frammenti di ceramica "Sigillata chiara" di tipo cartaginese databile tra il II e il III sec. d.C.
Ma i reperti più importanti sono una cospicua porzione di anfora di provenienza cartaginese (III - II sec. a.C.) e un sestertio in bronzo dell'Imperatore Adriano.

mercoledì 11 marzo 2015

LA MISSIONE “ANTICA BABILONIA - Stefano Carbone racconta: “Ho attraversato un Paese spezzato che non esiste più”

Il Ministero per i Beni e le attività Culturali, in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica di Messina ha aderito all’iniziativa internazionale “Antica Babilonia” che ha come obbiettivo la catalogazione e la divulgazione dell’immenso patrimonio culturale dell’Iraq, culla della civiltà mondiale. Le tristi vicende degli ultimi venti anni, che hanno visto come protagonista la terra di Hammurabi e di Sargon III il Grande, hanno lasciato ferite profonde che difficilmente potranno essere rimarginate. Danni immensi ed incalcolabili ha subito il patrimonio archeologico di quella terra. Dieci anni fa, le forze della Coalizione invasero l’Iraq per rovesciare Saddam Hussein. L’attacco principale cominciò il 20 marzo 2003, anche se le truppe Usa riuscirono ad entrare nella capitale solo tre settimane dopo. Nel caos che seguì, il Museo di Baghdad fu ampiamente saccheggiato, dal 10 al 12 aprile. Questo causò un’ondata di proteste internazionali dal momento che gli americani non erano riusciti a proteggere il museo, uno dei più importanti del Medio Oriente. Grosso modo 16.000 pezzi furono rubati, dei quali circa la metà è stata alla fine recuperata. Secondo John Curtis, curatore del museo, almeno 8.000 oggetti mancano ancora all’appello, per quanto il numero esatto ci sia sconosciuto. Tra i pezzi più importanti ci sono la placca di avorio che ritrae una leonessa e quasi l’intera collezione di sigilli cilindrici. Molto del materiale che si trova ora nei magazzini è in condizioni pessime. Alcuni materiali sono stati gettati fuori dalle teche durante il saccheggio e calpestati. Durante il primo anno di governo della Coalizione, i musei e i siti archeologici dell’Iraq sono stati costantemente sulla stampa, ma da allora la situazione ha avuto una copertura molto più limitata. La sicurezza è rimasta un problema costante, con un’ininterrotta serie di attentati e scontri a fuoco. Questo ha reso molto complicato il lavoro del personale dei musei o dei siti archeologici. I rischi per la sicurezza sono stati anche maggiori per gli stranieri, e questo ha presto significato l’impossibilità per gli specialisti internazionali di visitare il Paese (se non per viaggi assai brevi sotto protezione armata). Molti siti sono stati danneggiati, alcuni sono stati distrutti durante i combattimenti, altri ancora come Ninive si trovano in uno stato di abbandono, circondate da mine anti-uomo. Un tempo questo era uno dei siti archeologici più importanti e visitati del Medio-Oriente, ora è abbandonato alla desolazione, alla mercè dei contrabbandieri di opere d’arte senza scrupoli, che vendono la storia della loro terra per pochi dollari. Bisognava intervenire immediatamente e concretamente per cercare di salvare l’immenso patrimonio archeologico iracheno e non solo, documentare e catalogare il patrimonio archeologico del vicino Iran da qui l’iniziativa, promossa dell’UNESCO di dar vita all’”Operazione Antica Babilonia”, cui ha subito aderito il nostro Paese, in primo luogo la Soprintendenza Archeologica di Messina. Ciò è stato possibile grazie all’appoggio delle forze alleate attualmente stanziate in Iraq che hanno accettato di scortare gli operatori di “Luma Film”, una Società di Produzione di grande esperienza, in grado di realizzare qualsiasi produzione cinetelevisiva, fondata agli inizi degli anni ’60 dal maestro Nino Oliviero, noto musicista autore di colonne sonore di films importanti. Tra gli operatori televisivi e gli archeologi della missione “Antica Babilonia” c’è anche il nostro collaboratore Stefano Carbone, ricercatore presso la Soprintendenza di Messina che ha raccontato la sua esperienza vissuta in prima persona in quella terra martoriata da 20 anni di guerra (gli spezzoni più significativi di questo video-reportage sono visitabili su Youtube e sul sito http://www.lumafilm.it/primopiano/iran-persepolis/ ). “E’ molto difficile raccontare quello che ho visto e vissuto in Iraq durante le tre settimane di viaggio, un Paese bellissimo che lascia senza fiato, una terra incantata, un paesaggio lunare, dove il tempo è stato sconfitto. Quando arrivai nella terra del Tigri e dell’Eufrate, fui preso di un’emozione tale da restare quasi senza sensi, pensare che ero nelle terra dove ha avuto inizio la civiltà. La terra dei grandi re del passato. Fino a pochi anni fa non avrei immaginato lontanamente che avrei vissuto un’esperienza simile...proprio io che credevo che niente e nessuno mi avrebbe stupito più di tanto…intanto proseguivamo verso Nord-Est, scortati dai soldati italiani, ad un tratto la meraviglia delle meraviglie… ecco che si presentava dinnanzi ai nostri occhi la città di Ninive, dove dimorò il grande re Assurbanipal. Le sue mura possenti, le sue grandi torri, la grande ziggurat sembrava che ci stessero aspettando dandoci il benvenuto; ad un tratto la meraviglia per tanta bellezza lascò il posto allo sgomento, fummo presi da uno stato d’angoscia indescrivibile nel vedere le ferite che i feroci combattimenti avevano lasciato. La domanda che tutti ci ponevamo in un silenzio surreale era chi ha osato tanto? Chi ho osato profanare tale bellezza? Quale uomo può mostrare così tanto disprezzo verso ciò che è bello? La grande Porta del Cielo (l’ingresso alla città sacra degli antichi Assiri), attraverso la quale era solito passare il re Assurbanipal in processione era stata ferita a morte, sfregiata per sempre, ma è ancora li, dopo 3000 anni la porta sacra resite anche alla ferocia dell’uomo moderno, alla violenza di una guerra combattuta in nome del dio denaro. Questa era la nostra prima tappa, qui dovevamo girare le prime riprese, io dovevo commentare le immagini. Avevo preparato molti giorni prima ciò che avrei dovuto dire nel documentario, mi ero studiato per bene ogni singolo edificio, ogni singola struttura, mi sentivo preparato e pronto… ma non potevo immaginare lo spettacolo che si sarebbe presentato davanti ai miei occhi. Così decisi di mettere da parte il testo che avevo preparato e con un nodo alla gola incominciammo le riprese; a quel punto capii le vere motivazioni perché eravamo lì: decidemmo che non dovevamo girare il solito documentario per turisti…la nostra doveva essere una denuncia di un crimine gravissimo commesso contro l’Umanità intera da gente senza scrupoli, senza moralità…senza cuore. Ma non potevo immaginare che la mia più grande delusione mi aspettava al rientro in Italia: il nostro lavoro in Iraq, fatto con il cuore, non è piaciuto, è stato snaturato. Ci dovevamo limitare a descrivere le bellezze e nascondere le brutture della guerra, dovevamo convincere la gente che tutto sta tornando alla normalità in Iraq…La verità è un’altra, ho attraversato un paese piegato, spezzato, un paese che non esiste più, un popolo al quale è stata tolta la dignità, privato dalle sue gloriose origini. Ma la mia ansia cresceva di ora in ora perché ci accingevamo a lasciare l’Iraq per entrare in Iran, terra ostile a noi occidentali, un popolo con il cuore gonfio di odio verso tutti coloro che portano la Croce. L’intera missione era spaventata, nonostante le rassicurazioni che erano state fatte ai responsabili dal Governo Iraniano. Sapevamo che lì potavamo anche morire. Giunti al chek-point fummo presi un consegna dai soldati iraniani. Ero giunto nella terra del glorioso impero persiano la terra di Dario il Grande, la terra che fece innamorare persino Alessandro Magno. La destinazione era Persepoli, la città più bella in assoluto di tutto il Medio Oriente. Durante il viaggio rimasi sbalordito, mi resi conto che la mia paura iniziale era assolutamente infondata, ero incredulo, perché la gente del posto ci accoglieva con un sorriso e anche con curiosità, l’unica richiesta che mi sembrò strana fu quando uno degli ufficiali iraniani ci raccomandò di non indossare pantaloncini corti, magliette con scritte in inglese, occhiali troppo scuri, mentre alle donne raccomandarono di non mostrare scollature troppo vistose. Finalmente giungemmo a Persepoli...a stento riesco a trasmettere l’emozione che provai nel contemplare tanta meraviglia. Quali sapienti mani erano state capaci creare tanta bellezza? Ero davanti alla porta principale che dava l’accesso alla città, ero al cospetto di due grandi sfingi alate che dovevano incutere sacro timore a chiunque si accingesse a passare. La mia domanda è se questi due millenari guardiani riusciranno ad assolvere il loro antico compito ancora per molto o saranno sopraffatti dalla follia, figlia del fanatismo. A distanza di 7 mesi ancora mi torna alla mente la donna di una certa età che a Teheran mi raccontava della vita prima della Rivoluzione. Da giovane ha viaggiato in Europa e vissuto a Londra, a Roma. Ora non le sarebbe possibile uscire così facilmente dal suo paese per le difficoltà di rilascio del visto e per il basso valore della moneta locale. Dice di essere mussulmana, ma il suo Dio lo prega tra le mura domestiche, perché la vita nelle moschee è solo falsità; il suo paese è stato rovinato da questa religione che soffoca la politica, lei non lo ama più. Ma riconosce che l’Iran è bello e ci augura di godere delle sue bellezze.

lunedì 9 marzo 2015

I TESORI DELL'ARTE NELLE MANI DELLA MAFIA



In Svizzera c'erano cinque depositi pieni di reperti archeologici di grandissimo valore. Ma il vero patrimonio ritrovato dagli inquirenti è l'archivio segreto dei trafficanti. Migliaia di foto e documenti che riportano provenienza, valore, destinazione e acquirenti di capolavori scomparsi da anni. Il dossier, cercato a lungo dai carabinieri del Nucleo tutela del patrimonio e dall'FBI, permette di ricostruire decenni di razzie. E il primo risultato è stato chiarire la provenienza della "Bella Addormentata", splendido sarcofago romano recuperato negli Stati Uniti. Tutto questo all'ombra di Matteo Messina Denaro, l'ultimo boss di Cosa Nostra ancora latitante. C'era un tesoro di valore inestimabile nascosto in Svizzera, rientrato in Italia. Lo avevano scovato, nel 2001, i Carabinieri del Nucleo tutela patrimonio culturale (Tpc) dopo anni di indagini, seguendo le labili tracce che partivano dalla Sicilia nord occidentale, da Castelvetrano, comune in provincia di Trapani. Territorio dove si trova il parco archeologico più grande d'Europa, Selinunte, e non lontano, verso Mazara del Vallo, il tratto di mare più ricco di relitti e opere d'arte inabissate. Lì è passata la storia, a bordo di navi cariche di bottini di guerra strappati dai romani alla distrutta Cartagine, o di tesori depredati dai barbari con la caduta dell'Impero romano. In questo scenario si muovono conoscitori, amanti dell'arte e tombaroli, invischiati nel traffico di reperti archeologici, armi e droga. Un intreccio di interessi che vale miliardi di euro: quello dell'arte è il quarto mercato più redditizio del crimine internazionale. A volte sostituisce persino la classica bustarella come tangente per accaparrarsi appalti e lavori. Un filo invisibile si dipana in quest'area della Sicilia, una linea sottile che sembrerebbe unire il super latitante Matteo Messina Denaro a Giuseppe Fontana (oggi detenuto), a insospettabili antiquari, uomini d'affari, alcuni curatori dei maggiori musei d'arte del mondo. Fra questi spunta, sulla base di un'indagine in corso da parte dei carabinieri, anche il nome di Gianfranco Becchina, noto mercante d'arte di Castelvetrano e oggi proprietario di due cementifici e dell'etichetta "Olio Verde", con cui commercializza l'extra vergine che produce nelle sue campagne. Considerato dalle forze dell'ordine un personaggio importante nel traffico di opere d'arte, mai condannato perché - come spiega il maggiore dei carabinieri Antonio Coppola - "il suo reato è finito in prescrizione – Ora Becchini è in carcere. A Becchina sono stati confiscati, dopo una lunga querelle con la Svizzera, i cinque magazzini stracolmi di opere d'arte. Veri e propri scrigni dove erano custoditi 5mila reperti archeologici, tesori dal valore inestimabile. Molti, sempre secondo i carabinieri Tpc, "provenivano da scavi clandestini (Puglia, Calabria, Sicilia) e adesso potranno finalmente rientrare in Italia". Questo patrimonio unico poteva contare, come quartier generale, sulla Galleria Palladio Antique Kunst di Basilea, il cui proprietario era proprio Gianfranco Becchina. Ma c'è di più: nei cinque magazzini è stato trovato un gigantesco archivio, quello che l'FBI chiamava il "Becchina dossier", di cui i carabinieri sono finalmente entrati in possesso. Chi è Gianfranco Becchina? Lui si definisce così: "Un mecenate, un collezionista, estraneo a ogni tipo di vendita illegale di oggetti d'arte. Prima, su di me, indagò Paolo Borsellino, dopo la sua uccisione, il procuratore Gian Carlo Caselli, fu un'indagine sprecata, soldi dello Stato gettati al vento, ho smesso di essere un mercante d'arte dal 1994, e nel 1996 mi sono anche cancellato dal registro dei commercianti". Conosciuto da tutti a Castelvetrano, Becchina è proprietario di diversi edifici di grande interesse storico e artistico, come il Palazzo ducale dei principi Pigantelli Aragona Cortes Tagliavia. Situato nel cuore del centro storico di Castelvetrano, il palazzo era in realtà l'antico castello "Bellumvider" realizzato nel 1239 per accogliere Federico II. Becchina è pure in possesso di un bellissimo feudo dove oggi vive, a suo tempo appannaggio, anche questo, dei principi Pignatelli Cortes. Un parco di 25 ettari non lontano dai templi greci dell'area archeologica di Selinunte, con tremila ulivi dai quali produce il suo olio. "Non è un olio qualsiasi - spiega l'archeologo Tsao Cevoli, presidente dell'Osservatorio internazionale archeomafie e direttore del master in Archeologia Giudiziaria e Crimini contro il Patrimonio Culturale - Con il suo olio hanno condito l'insalata Clinton e Bush, perché è accreditato nientedimeno che come fornitore della Casa Bianca. Inoltre ha due grosse aziende produttrici di cemento: la Heracles in Grecia e la Atlas srl in Sicilia".


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Massimo Valerio Rogers

venerdì 6 marzo 2015

GIUSTIZIA E’ FATTA! È finalmente libero il modello Theo Theodoridis

Il 21 Giugno del 2009 il modello greco Theo Theodoridis era stato condannato in prima istanza a 18 anni di carcere con l'accusa di detenzione e spaccio internazionale di stupefacenti. Ma lui si è sempre proclamato innocente nonostante abbia ammesso di fare uso di cocaina. Il punto è proprio questo: fare uso si sostanze stupefacenti non ha nulla a che vedere con il reato contestato dall'accusa, quindi con la spropositata condanna. Ma, nuove elementi di prova scagionanti ed una forte pressione di migliaia di persone a sostegno della sua innocenza hanno condizionato positivamente l’esito del processo in appello.
Chi scrive, ha chiesto e ottenuto l'aiuto ad "Amnesty International" finchè venisse riesaminato il suo caso e così è stato, anche grazie alla solidarietà di migliaia di persone che hanno fatto recapitare le loro firme alla redazione di "Martus Editore", ad alcune testate giornalistiche, come la Gazzetta del Sud, che ha seguito con grande interesse e umanità il caso di Theo; ad alcuni comuni italiani (che hanno espresso la loro solidarietà): Milano, Napoli, Taranto, Messina, Firenze.
Theo ha trascorso ben 5 anni nel carcere di massima sicurezza Diavata di Thessalonica, in condizioni disumane. Cinque anni della sua vita che nessuno potrà mai restituirgli. Ma tutto è bene quel che finisce bene, dopo una serie di rinvii delusioni, Theo è di nuovo libero ed è ritornato al suo posto ed al suo lavoro di modello.
Durante un'intervista alla televisione privata "MIA" ha ringraziato tutti quelli che hanno creduto nella sua innocenza e lo hanno sostenuto.
A.Martucci




Le scoperte degli ultimi anni confermano: RISALGONO AL 1 400 AVANTI CRISTO LE PRIME TRACCE D’INSEDIAMENTO A SAN SOSTI.

Fino a poco tempo fa si faceva risalire la fondazione di San Sosti al XVI secolo dopo Cristo ad opera degli Albanesi in fuga dalla persecuzione turca. Questa però era la tesi di semplici appassionati di storia locali non correlata da alcun dato scientifico. Anche per quanto riguarda il nome, in passato sono state avanzate ipotesi assolutamente fantasiose: si faceva risalire l’origine a “Santa Sosta”, cioè, riferito al fatto che era luogo di sosta per i pellegrini che si recavano al Pettoruto.
Ma già a partire dagli ultimi anni Novanta, queste favolette al quanto fantasiose, incominciano ad essere smentite da una ricerca seria, condotta con metodo scientifico. I primi dati furono acquisiti durante i lavori di restauro della chiesa madre di Santa Caterina di Alessandria. Durante il fermo dei lavori deciso dalla Sovrintendenza per i beni Architettonici della Calabria fu condotto un saggio di verifica nella zona presbiteriale della navata destra. In quella occasione furono riportati alla luce i resti di strutture murarie che facevano parte della prima chiesa di età bizantina. Dalla ricerca stratigrafica sono stati recuperati frammenti di ceramica invetriata databili tra il X e l’XI secolo; ma l’elemento datante più importante è un follis (moneta in bronzo) dell’Imperatore d’Oriente Leone III Isauro, risalente al 717/720, conservato presso il Museo Nazionale della Sibaritide.
Ma furono gli scavi archeologici all’interno della chiesa del Carmine che spostarono la datazione di almeno 2 500 anni.
Lo scavo, iniziato i primi di Febbraio e terminati i primi di Aprile 2004, condotto dalla Sovrintendenza per i Beni Archeologici della Calabria in collaborazione con la Cattedra di Archeologia Cristiana e Medievale dell’Unical, ha restituito le prime tracce di frequentazione umana dell’area dove attualmente sorge il centro abitato, risalenti al XIV-XIII sec. a.C., consistenti in una porzione del battuto di una capanna protostorica e diversi frammenti di vasi acromi e dipinti risalenti a quel periodo. In base a questi ritrovamenti si può affermare con certezza che il primo nucleo abitato di San Sosti risale almeno al XIV secolo prima di Cristo. Lo scavo eseguito nell’area presbiteriale ha restituito una sequenza stratigrafica ininterrotta (sia pure disturbata da rimaneggiamenti avvenuti nel corso dei secoli), dall’età protostorica al tardo-Medioevo. Ad una quota di livello superiore rispetto alla capanna dell’età del Bronzo è stato riportato alla luce parte di un muro a secco, ciò che rimane di un santuario greco risalente alla fine del VI sec. a.C.
A livello di fondazione del muro sono state rinvenute tre fosse votive, di cui solo una ancora sigillata al momento del rinvenimento e non disturbata, colma di oggetti votivi miniaturistici. Era usanza presso i greci e i romani scavare delle buche nei santuari e riempirli con gli ex-voto offerti dai fedeli. Da una di queste fosse proviene la testina in terracotta raffigurante la dea Atena, risalente al V sec. a.C., numerosi frammenti di statuette di divinità femminili stanti o in trono e un cospicuo frammento di scultura maschile. Particolarmente interessante è la porzione di statuetta maschile, nuda e stante. Si tratta di ciò che rimane di una piccola scultura di un kouros, cioè un giovane atleta in atteggiamento auto-celebrativo, simbolo della vittoria ai Giochi Olimpici; questo rinvenimento potrebbe costituire un ulteriore indizio per l’individuazione del luogo del rinvenimento della scure martello conservata presso il British Museum di Londra.
Sono piuttosto frequenti i rinvenimenti archeologici sia nel centro storico, sia nelle periferie: in via Piano della Fiera, durante i lavori per la realizzazione del metanodotto sono stati rinvenuti due contesti di età romana imperiale; nel primo caso (di fronte la croce del cimitero) si tratta di una grande struttura rettangolare, di età tardo-romana; nel secondo caso (stazione Carabinieri), si tratta di una struttura di età romana, risalente al I-II sec. d.C.
In via Cavour (non molto lontano dalla chiesa del Carmine), durante i lavori di restauro e consolidamento strutturale (abitazione del Sig. Vito Romolo), sono ritornati alla luce centinaia di frammenti ceramici e porzioni di strutture murarie di età romana. Tra i numerosi reperti, una moneta in bronzo (sesterzio) dell’imperatore Vitellio (69. d.C.) e una porzione di bottiglietta porta-profumo databile tra il IV e il III sec. a.C.
I reperti sono attualmente conservati presso il Museo Nazionale della Sibaritide.
Anche in via Prato (u Suppuartu) è stato riportato alla luce un importante contesto archeologico inspiegabilmente distrutto in corso d’opera: un tratto di basolato di età romana e molti reperti archeologici, raccolti dallo sterro e consegnati alla Sovrintendenza per i Beni Archeologici della Calabria. Tra questi si segnala una cospicua porzione di Anfora del tipo Dressel L1 (III-II sec. a.C.), frammenti di ceramica a “pasta grigia” di tipo metapontino (III-II sec. a.C.), un cospicuo frammento di coppa in sigillata chiara (I-II sec. d.C.).
La collina dove attualmente sorge il centro abitato di San Sosti presenta, dunque, una continuità insediativa ininterrotta dall’età del Bronzo medio (XV-XIV sec. a.C.) fino ai giorni nostri.


A. Martucci

THE INDIAN SUNSET UN FENOMENO MUSICALE MADE IN ITALY CHE RIPROPONE LE ATMOSFERE PSICADELICHE DEI MITICI DOORS È il cantante Vincenzo Oliva il segno distintivo della band



E' la migliore tribute band ai Doors del momento. The Indian Sunset può vantare esibizioni di una certa levatura come " Feast of Friends Festival" di Magdeburgo, in Germania nel 2013 e nel 2014; presso il Gazarte di Atene, nel 2013; presso l'Urban Music Club di Perugia; al "Feast of Friends Party", nel 2012; al raduno nazionale The Doors a Pesaro, nel 2012; all'Urban Music Club di Perugia nel 2013 e moltissimi altri appuntamenti.
Colonne portanti della band sono tuttavia sono il piano-basso (Alessio Bannò) e sopratutto il cantante Vincenzo Oliva. E' Vincenzo il segno distintivo del gruppo, proprio come lo era Jim Morrison per i Doors: nelle uniche due registrazioni in studio (almeno quelle pubblicate su internet), "Break on through" e "Riders on the storm" il cantante di "The Indian Sunset" offre un'interpretazione magistrale dei due brani più famosi della band californiana. In "Riders on the storm", addirittura ci si potrebbe confondere con il pezzo originale dei mitici Doors, se non fosse per alcune piccole imperfezioni negli arrangiamenti musicali, la voce è assolutamente calda e ipnotica, il testo scorre con una coerenza impressionante con l'originale, in alcuni tratti sembra di ascoltare la voce di Morrison; mentre in Break on through, Vincenzo offre una sua versione personalizzata di questo brano che Morrison amava particolarmente.
Grazie proprio il carisma del cantante (ancora una volta) che la band sta raccogliendo un grande consenso di pubblico; in poco tempo dalla loro formazione (2010), ha conquistato il cuore degli appassionati, incontrando persino il favore di Morgan.
È un vero peccato che la band non abbia prodotto un CD e dei video professionali dei concerti più importanti.
Un fenomeno musicale, The Indian Sunset che sa riproporre la teatralità e le atmosfere psicadeliche di uno dei più grandi gruppi americani degli anni Sessanta: The Doos, protagonisti della scena musicale statunitense e mondiale degli anni Sessanta e ispiratori della rivoluzione culturale di quel periodo.







  Ade. Cauterucci

Il metodo Bonaparte Vincitori e vinti nella corsa al Quirinale, nella consapevolezza che, da domani, cambierà tutto. E non cambierà nulla.



L’elezione di Sergio Mattarella al Quirinale, con un consenso notevole anche rispetto alle posizioni ufficiali delle forze politiche, è stata considerata unanimemente come un “capolavoro politico” di Matteo Renzi. I dubbi e le perplessità di chi vedeva l’imposizione di un candidato “esterno” al patto del Nazareno come un azzardo ed un problema per la tenuta della stessa maggioranza di Governo, sono stati spazzati via dalla decisione di Angelino Alfano di votare al quarto scrutinio “il candidato unico” del PD. Così come le minacce di chi ora parla di “tre maggioranze da gestire” e ipotizza scossoni nel percorso di riforme costituzionali sembrano piuttosto velleitarie (come farebbe Berlusconi a giustificare una retromarcia su leggi e riforme già votate più volte?).
Insomma, la tattica di Matteo Renzi ha messo Alfano e Berlusconi con le spalle al muro: il primo, da ministro dell’Interno, non avrebbe potuto “non votare” il candidato avanzato dal capo del Governo senza trarne le estreme conseguenze e lasciare la maggioranza (e, come noto, la prospettiva di tornare all’opposizione o peggio ancora alle urne è terrificante per gran parte dei parlamentari centristi); il secondo, privo di agibilità politica, stretto fra un partito in disfacimento, gli interessi personali, gli “agguati” dei fedelissimi e l’assenza di alternativa, non ha avuto la forza (né la possibilità, ad onor del vero) di strappare del tutto. Inoltre, la mossa di Renzi (l’imposizione del candidato “perfetto”) ha compattato il Partito Democratico (con la minoranza che non ha potuto, e forse voluto, insistere sulla carta “Prodi”) e ha “distolto” Sel dal perseguire strade alternative (nel lungo periodo ben più pericolose per l’ex rottamatore), dal momento che non era un mistero la considerazione dello stesso Vendola per Mattarella. “Tutte queste cose con lo stesso Parlamento che solo due anni fa si era reso responsabile di quel grande e famigerato fallimento nella ricerca di un successore di Napolitano”. Condizioni mutate proprio “grazie” all’intraprendenza e alla spericolatezza politica di Renzi, che dopo aver forzato i tempi ed i modi del suo approdo alla Presidenza del Consiglio, non ha lasciato nulla di intentato, accelerando e frenando a seconda del momento, ma mantenendo costantemente l’iniziativa, senza mandare mai la palla nel campo opposto.
È lui che decide, è lui che muove i fili, su questo ci sono pochi dubbi. Non ci sono retroscena, dietrologie o complottismi che reggano.
È una versione edulcorata e ragionevole di bonapartismo, quella che propone Renzi. Che dal punto di vista della prassi politica, in attesa della riforma costituzionale (e forse dei regolamenti delle Camere), si nutre della commistione fra i livelli (esecutivo e legislativo), del “fastidio” per i tempi lunghi della dialettica parlamentare, delle prove di forza, dell’utilizzo sistematico di decreti e questioni di fiducia. E che dal punto di vista comunicativo fa della disintermediazione una componente essenziale, che concorre a determinare continuamente immagini di alterità e conflitto: il nuovo contro il vecchio, il fare contro il discutere all’infinito, il progresso contro il conservatorismo. Quasi “a prescindere” dalla discussione di merito e dai bilanci reali. E con abbondanza di promesse ed “orizzonti di speranza”. La scelta di Mattarella si inserisce completamente e perfettamente in questo contesto. Ed è una chiara indicazione di ciò che ci aspetta: non la fine delle larghe intese sulle riforme, non la crisi della maggioranza, non la ritrovata unità del partito, ma la completa subordinazione della politica italiana alla figura di Matteo Renzi, con l’uscita di scena del “tutore” Napolitano e l’azzeramento definitivo dei “vecchi competitor”. Che ciò sia un bene “a prescindere” non è cosa che ci sentiamo di assicurare. Che ciò continui per anni, nemmeno. Dipenderà, stavolta sì, dagli altri, quelli che ora sono ai margini, Salvini e grillini soprattutto: se saranno capaci di elaborare una proposta coerente e completa, si giocheranno la partita del consenso. Che poi è quella che conta, anche per il Bonaparte fiorentino (il “vampiro del consenso“).


Tratto da fanpage.it di Adriano Biondi