lunedì 3 agosto 2015

MA CHI ERA VERAMENTE JIM MORRISON? - But who was really Jim Morrison?

Jim Morrison

A CURA DI ANGELO MARTUCCI
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Io sono sicuro che tanti odiosi capelloni che infestano le università e le piazze italiane con le loro pose da "alternativi selvaggi", che se ne fottono delle masse e del rispetto per il prossimo perchè si sentono tanto "fighi" e usano questo rivoltante clichè per abbordare ingenue fanciulle vogliose, avranno da ridire su questa mia recensione.
E sono sicuro che non mancheranno i tanti segaioli che puntualmente non sapranno di cosa sto effettivamente parlando ma che non tarderanno a tributarmi lo scontato flusso di peti provenienti dalle loro limitate capacità di comprensione. I toni forti che uso vogliono esprimere tutto lo sfogo alla rabbia che covavo ormai da tempo in merito all'immagine distorta che il cinema e la stampa hanno dato di questo grande esponente della letteratura americana della seconda metà degli anni 60', del "poeta maledetto".
Voglio, pertanto, dire qualche parolina che mi tiro dietro da anni sui Doors e in particolare sul loro leader Jim Morrison, l'Artista, il Re Lucertola, il Poeta e soprattutto su quella massa di "scimmie urlatrici" che si credono artisti "arrivati" solo per il fatto di zompettare e farsi le pugnette durante le loro pietose esibizioni, nel loro pietoso tentativo di imitare il mito Morrison. 
Ma, incominciamo proprio da Jim Morrison: per la massa di cazzoni e decerebrati, Jim rappresenta solo lo sballo, la trasgressione, gli eccessi, la droga. Mentre nella testa delle ragazzine libidinose e sempre "bagnate", scatta il pensiero del sesso sfrenato. Per loro Jim non è il "dio del rock", come più volte è stato definito da testate giornalistiche di gran rispetto, per queste affamate di sesso estremo, Jim è il "dio del cazzo", inteso come instancabile scopatore (che, tra l'altro lo era davvero). 
Da cultore dei Doors, non posso che provare un immenso senso di disgusto. Non esaggero affato quando dico che Jim "ha fatto un'epoca"; dall'alto del suo QI pari a 150 (ricordiamo che il QI di Einstein era 160), si è battutto, e lo ha fatto con tutte le sue forze, contro un sistema socio-politico conservatore e bigotto. Jim, intanto, era un divoratore di libri (cosa che fa rabbrividire i frocetti degli anni 90' e 2000, con i loro ridicoli jens caduti e la cannetta di "Maria" pronta nel pacchetto delle sigarette) a tal punto che i suoi professori, spesso, si trovavano in disaggio in sua presenza e, addirittura, gli facevano tenere delle lezioni in classe su autori e filoni letterari del suo tempo o di poco precedenti, di cui loro stessi ne ignoravano l'esistenza.  Era, dunque, un personaggio pericoloso e sovversivo e bisognava fermarlo con ogni mezzo....
Proviamo, solo per un attimo ad immaginare un giovane, culturalmente "illuminato", con una certa immagine, perchè no...? Che invitava i suoi coetanei a ragionare con la propria testa, a liberarsi di certi retaggi di regime.. (certamente non incontrava il consenso della "classe dirigente e dei "ben pensanti").Quanto è attuale Jim a distanza di 50 anni...!!! Alla fine, il sistema che ha sempre combattutto lo ha ucciso.... I giovani? Oggi? Credono di essere emancipati, altrnativi. Cazzate! Mucchio di cadaveri deambulanti e inconsapevoli, schiavi dell'immagine e di un'economia globalizzata, psicopatici che si credono acculturati, fanno "copia-incolla" delle "frasette trovate su Google o ancora peggio, traducono e pubblicano gli scritti del grande Jim o di altri autori/filosofi del 700' e dell'800' spacciandoli come propri; ecco cosa sono le giovani generazioni...!!! 
Assistere ad un'esibizione di Jim Morrison significava assistere ad una tragedia antica e moderna nello stesso tempo. Lui non si limitava a cantare, Jim interpretava; trasmetteva e trasmette ancora, un universo di emozioni: il suo corpo era il palco scenico, il suo spirito ne era il protagonista. Questo e molto di più era Jim Morrison. 
Passiamo ora, come anticipato, alle varie tribute band. Veri e propri abomìni nel 99% dei casi; ognuna ostenta il proprio istrione, la propria "scimmia urlattrice", con tanto di pantaloni di pelle e camicia anni 60', che si dimena come una vecchia puttana in preda ad un attacco di lombo-sciatalgia in fase acuta. Veri e propri crapuloni attempati, al limite del grottesco, convinti che una sbornia e una masturbazione in pubblico li renda uguali alla legenda del rock. Da amante, quasi maniacale, del mito Morrison posso vantare in tutta onestà di aver assistito a diverse performance di gruppi improvvisati, o peggio ancora, organizzati che, puntualmente mi hanno causato un profondo stato di turbamento e di disgusto. Quanto sono lontani dalla realtà!
Due sole eccezioni, due band hanno attirato la mia attenzione e catturato il mio "soul", The Indian Sunset e Easy Ride. Due interpreti d'eccezione: Vincenzo Oliva, singer di Indian Sunset e Luca Correale, singer di Easy Ride. 
Vincenzo sembra la reincarnazione di Jim e questo lo posso affermare con estrema certezza. Quando lui è in scena sembra che Jim è con lui, sembra che lui danzi con gli spiriti degli sciamani indiani, riesce a creare un corridoio spazio-temporale e proiettare la mente dello spettatore a quei fatidici anni della "Contestazione giovanile americana", di cui Jim ne fu il principale ispiratore. 
Vincenzo Oliva
Luca riesce a trasmettere con il cuore, direttamente al cuore dello spettatore; la sua voce calda e intensa causa uno stato di sconvolgimento cognitivo, crea un labirinto psichico in cui ci si perde, ma lui è la guida.
Ecco cosa significa sentire e trasmettere la musica dei Doors! Far rivivere la magia, gli attimi. 

Luca Correale
Due modi completamente diversi di interpretare il mito Morrison, ma sorprendentemente efficati che rendono questi due interpreti assolutamente degni di riportare in scena uno tra i più grandi miti della storia della musica mondiale: Jim Morrison.   

sabato 18 luglio 2015

DOORS EASY RIDE TRIBUTE BAND - Il mito continua, quattro giovani calabresi conquistano la scena musicale riproponendo i Doors.

Il vocalist della band - Luca Correale

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A CURA DI A. MARTUCCI

È di Cosenza la nuova band che ultimamente sta riportando in scena la grande musica d’autore. “Doors Easy Ride tribute band”, questo è il nome del nuovo gruppo musicale che sta spopolando nelle piazze calabresi.
Dal punto di vista culturale, Easy Ride rappresenta il riscatto delle giovani generazioni calabresi, stanche di subire gli effetti negativi dell’attuale crisi economica, causata dal cattivo governo, che, particolarmente in Calabria, ha assunto livelli preoccupanti. Iniziative come questa rappresentano la reazione all’"immobilismo", sfruttando le passioni e le potenzialità dei giovani calabresi, per troppo tempo ingannati e dimenticati dal solito “sistema” del malaffare politico. 
Sembrava veramente che Jim Morrison fosse sul palco ad interpretare le sue canzoni quella sera a Fagnano Castello, nello splendido spettacolo organizzato dal " Lounge Bar 2000". 
"Easy Ride" è il nome della tribute band composta da: Luca Correale (voce), Tommaso Donato (batteria), Cristian Morello (chitarra) e Aldo Casaula (piano bass e organo). Nascono musicalmente come tributo all'intramontabile gruppo californiano dei Doors, da subito per i quattro ragazzi è stato un successo dopo l'altro, un migliorarsi continuo, fino a raggiungere l'apoteosi della performance musicale ed interpretativa del vocalist del gruppo (Luca), che si esibisce con una bravura a dir poco impressionante. In poco tempo dalla sua formazione la band ha suonato nei principali locali calabresi, ma ha tutte le carte in regola per andare oltre i confini regionali e misurarsi con un pubblico molto più vasto, che è quello dei grandi eventi.  
Assistere ad un loro concerto è un'emozione unica, è come fare un passo indietro nel tempo, sembra di essere ad uno spettacolo dei Doors, l'interpretazione di brani come "The end", "The crystal ship" sono momenti indescrivibili, che Luca sa trasmettere con il cuore, direttamente al cuore dello spettatore. Non è per niente facile interpretare un mito della musica mondiale come Jim Morrison, ma il cantante di "Easy Ride" ci riesce in modo a dir poco magistrale. Cosa dire degli altri tre componenti? Semplicemente straordinari, nel celeberrimo brano  "Light My Fire" si rimane estasiati dalla bravura diAldo Casaula al piano bass e organo. Così come in "Roadhouse blues" chitarra e batteria Cristian Morello e  Tommaso Donato conquistano la scena in un'armonia sconvolgente, resa ancora più surreale dall'estro canoro-interpretativo di Luca. 
E' da sottolineare che la band utilizza gli stessi strumenti che i Doors suonavano dal vivo. 
La storia degli "EasyRide" fa pensare un pò alle origini dei Doors: tre persone accomunati dalla stessa passione per la musica si incontrano dopo essersi persi di vista per diversi anni. 
La passione per il quartetto di Los Angeles, che li accompagnava ai tempi scolastici, li esorta alla creazione di una band attraverso la quale potessero celebrarlo. 
Dopo qualche prova di assestamento incontrano sulla loro strada il tastierista che avrebbe preso posto nella band e completato così la sezione strumentale. 
Due i tastieristi cimentati nell'ardita prova, e dopo mesi di ricerca arriva il tastierista che avrebbe completato la formazione.
La band sarà ospite del "SYMPOSION" music resort pub a San Sosti il 7 agosto 2015 per celebrare il cinquantesimo anniversario della nascita dei Doors.


mercoledì 27 maggio 2015

Un’efficace proposta-progetto per la ricerca, lo studio, la catalogazione, la valorizzazione, la promozione e la diffusione del sito archeologico di Pauciuri

Pauciuri è una contrada di Malvito posta a nord-est del centro abitato, sulla riva sinistra del fiume Esaro.
Gli scavi archeologici iniziati nel 1979, hanno riportato alla luce i resti di un grande abitato di età romana.
Durante la prima fase di studi il sito era stato identificato come una statio, costruita nei pressi della via istmica ionico-tirrenica che un tempo metteva in comunicazione la polis greca di Sybaris con le sub-colonie del Tirreno.
Le stationes romane erano una specie di aree di servizio che venivano costruite sulle strade principali, a distanze più o meno regolari, molto simili agli autogrill moderni.
Ma, le ultime indagini hanno portato a riconsiderare questa tesi. Non si tratta di una statio. Le dimensioni dell’area scavata e le ricognizioni di superficie suggeriscono, che siamo di fronte ad una scoperta archeologica molto più interessante di quanto si potesse immaginare all’inizio delle ricerche.
L’analisi del contesto territoriale evidenzia un grande abitato che si estendeva su un’area molto vasta, infatti a circa un chilometro di distanza in direzione sud-est sono state rinvenute due fornaci che facevano parte di un’officina per la lavorazione della ceramica e del materiale fittile. È uno dei tanti centri produttivi pertinenti all’antico abitato romano.
La prima struttura scavata è questa: è il ninfeo, cioè una fontana monumentale di uso cultuale, costruita con un sistema di ingegneria idraulica che non ha nulla da invidiare alle nostre fontane moderne.
L’acqua sgorgava dalle cannule creando dei veri e propri effetti artistici, piccole cascate e getti.
La struttura era abbellita da almeno tre sculture, che purtroppo sono andate perdute nel corso dei secoli.
In età altomedievale il ninfeo perse la sua funzione e fu utilizzato come frantoio per la molitura delle olive.
A breve distanza si trovano le latrine pubbliche e l’impianto per lo smaltimento delle acque. 
Uno degli edifici più importanti dell’abitato romano di Pauciuri è il grande portico colonnato, risalente al II-I sec. a.C. di cui si conservano le basi delle colonne impostate sul muro perimetrale.    
Nel corso del I e del II secolo d.C. la zona del portico cambiò destinazione d’uso: furono costruiti una serie di ambienti adibiti ad abitazioni, provvisti di terme pubbliche e private.
Sul lato Nord-Est del grande portico viene costruita l’esedra, risalente al I sec. d.C.
È un edificio a pianta semi-circolare che aveva funzioni religiose e di abbellimento architettonico.
In età tardo-romana l’esedra viene utilizzata come monumento sepolcrale di un personaggio importante.
È proprio in questa tomba che fu rinvenuta un’enkolpia, cioè una croce pettorale proveniente dall’area siro-palestinese databile al V-VI sec. d.C. appartenente ad un pellegrino di ritorno dalla Terra Santa.
Sul rovescio della croce è inciso il nome Ioannes.
Tra l’VIII e il IX sec. d.C. l’abitato fu per gran parte abbandonato, sui muri delle antiche strutture romane vengono scavate delle tombe. Questa è l’ultima fase di vita del grande abitato di Pauciuri prima del suo abbandono definitivo.
Nell’estate del 2003 è stata ampliata l’area di scavo, in direzione Sud-Est. Sono state messe in evidenza le creste di antiche strutture, che si è preferito ricoprire poiché le ricerche stratigrafiche erano solo all’inizio, quindi, per ovvi motivi di tutela,
Le prime ed incomplete indagini stratigrafiche hanno permesso di stabilire una parziale sequenza diacronica di questa parte di abitato.
La fase di vita più antica finora documentata è quella di IV a.C. secolo, attestata dal rinvenimento di ceramica a vernice nera relativa a quel periodo.
Le strutture parzialmente scavate risalgono al I sec. a.C. e furono abitate fino all’inizio dell’età tardo-antica, come ci testimonia un sesterzio in bronzo di Massimino il Trace databile tra il 235 e il 238 d.C.
Dai primi risultati ottenuti dallo studio dei materiali archeologici e delle strutture murarie possiamo ipotizzare che la nuova area scavata nel 2003 ospitava parte dell’abitato più antico abbandonato tra il III e il IV sec. d.C. per motivi che ancora non conosciamo.
Uno degli edifici più interessanti, parzialmente scavato nel 2003 è il grande horreum, cioè, un granaio e magazzino di deposito. In base ai primi dati acquisiti dalla scavo possiamo datare il complesso al III-II sec. a.C.
Tra VI-VII sec. d.C. l’abitato aveva completamente mutato aspetto e destinazione d’uso; gran parte degli edifici di età romana furono utilizzati come luoghi di sepolture.
La zona dove un tempo sorgeva maestoso il ninfeo viene adibita centro produttivo: il ninfeo stesso viene trasformato in frantoio per la molitura delle olive, mentre sul lato destro dell’antico monumento romano fu costruita una casa-bottega.
Si tratta di una fornace per la cottura dei laterizi, con abitazione annessa.
La fornace, parzialmente scavata nel 2000, contiene ancora l’ultima infornata di tegole; ciò significa che l’insediamento fu abbandonato all’improvviso di seguito ad un evento traumatico.
Le campagne di ricerche archeologiche finora condotte nel sito di Pauciuri hanno fornito dati scientifici indispensabili alla ricostruzione degli eventi storici ed insediativi riguardanti l’antico abitato, ma ci sono ancora molte domande in attesa di risposte, per esempio, non sappiamo ancora con certezza quanto era grande l’abitato in età romana.

Solo una nuova campagna di scavi archeologici in estensione potrà riportare alla luce le strutture ancora sepolte e svelare il mistero che avvolge la città romana di Pauciuri.



mercoledì 6 maggio 2015

SUPERARE LE DIFFICOLTA' PER LA CONSERVAZIONE DEL PATRIMONIO ARCHEOLOGICO L'Amministrazione di San Sosti punta su Castello della Rocca e Casalini

Sono tristemente note le difficoltà economiche da parte di piccole amministrazioni come quella di San Sosti per la gestione delle aree archeologiche, le quali necessitano di continui interventi di manutenzione indispensabili per loro conservazione. E' altrettanto noto lo sperpero di fiumi di denaro pubblico da parte delle istituzioni (Sovrintendenze, Regioni), caso eclatante quello di Pompei, dove sono stati spesi decine di milioni di Euro, ciò nonostante, le antiche strutture continuano a sbriciolasi e crollare. Per non parlare del recente caso del sito di Capo Colonna (Crotone), una delle aree archeologiche più belle ed importante del Sud Italia. Sono stati stanziati circa 3 milioni di Euro, non per la prosecuzione degli scavi archeologici o per la tutela dell'area già scavata, ma per la costruzione di un parcheggio sulle rovine dell'antica Kroton. Una terrificante gettata di cemento ha distrutto per sempre le vestigia della polis greca dove Pitagora aveva fondato la sua scuola nella seconda metà del VI sec. a.C.
In controtendenza è il comune di San Sosti, dove l'attuale Amministrazione, presieduta dal Sindaco Vincenzo De Marco, pur versando in una situazione economica critica, come tutti i piccoli comuni italiani, ha inteso puntare il suo sviluppo sul turismo culturale ed ambientale, partendo dal recupero delle sue aree archeologiche: Castello della Rocca e Casalini (Artemisia), affidandone la manutenzione, a titolo gratuito, ad un gruppo di giovani laureati in Archeologia ed esperti nel settore. Presto,  i due siti archeologici più importanti di tutta la valle dell'Esaro ritorneranno ad essere visitabili, anche in vista della stagione turistica ormai  alle porte.   
Il Castello della Rocca è una fortificazione posta all'imbocco della Gola del torrente Rosa a quota 551 m. s.l.m.
Sin da tempi antichissimi questa fortificazione sul Rosa proteggeva la via istmica che metteva in comunicazione lo Ionio al Tirreno.
I resti monumentali si riferiscono alla fase bizantina di X-XI secolo d.C.
Ma la campagna di scavo archeologico condotta nel 2004 dalla Sovrintendenza per i Beni Archeologici della Calabria in collaborazione con l'UNICAL hanno fornito nuovi, importanti dati scientifici che hanno spostato la frequentazione del sito di diversi secoli. I primi interventi di pulizia e di recupero, in corso d'opera, stanno interessando il lato Sud-Est del castrum, che anticamente costituiva l'ingresso fortificato all'acropoli. Da qui, si estenderanno a tutta l'area in questione ed ai Casalini, la città-fortezza risalente al IX-X sec. d.C., posta a quota 896 m. s.l.m., a strapiombo sulla basilica della Madonna del Pettoruto. 
A. Martucci

giovedì 9 aprile 2015

CELTICA - Festa Internazionale di Arte, Musica e Cultura Caltica


Passeggiando attraverso il millenario bosco del Peuterey in Val Veny, ai piedi del Monte Bianco nella lussureggiante Valle d'Aosta, si svolge la più alta festa celtica d'Europa organizzata dal Clan della Grande Orsa.
Giunta quest'anno alla 18° edizione, ma non per questo da ritenersi maggiorenne -precisa Riccardo Taraglio direttore artistico della kermesse- in quanto per i Celti la maggiore età si raggiunge al compimento dei 21 anni, la Celtica offre dall'ormai lontano 1997 una ricca scelta d'intrattenimento per tutti gli appassionati e i curiosi dell'arte, della musica e della cultura celtica di cui sono permeati i 3 giorni del primo week-end di ogni luglio.
Accompagnati da un sommesso rullio di tamburi, da soavi melodie di violini e flauti irlandesi che risuonano dal grande palco, si può piacevolmente passeggiare nel bosco alpino fra stand di ogni sorta e genere, tutti riconducibili direttamente alla cultura celtica. L'aggiunta di stage di tiro con l'arco, arpa celtica, danze irlandesi e molte altre attività riempiono piacevolmente le mattinate e i pomeriggi.
La festa si anima poi durante le due serate, quelle di venerdì e sabato sempre al Peuterey, con un nutrito susseguirsi di artisti internazionali fra musicisti e ballerini di danze tradizionali proveniente dalle nazioni più disparate come Canada, Francia, Scozia, Irlanda e molte altre.
Grazie agli innumerevoli sforzi e sacrifici degli organizzatori e dei molti volontari, senza i quali -precisa Taraglio- non sarebbe possibile neanche pensare di organizzare un evento di queste dimensioni, la magia di questa festa si perpetua ogni anno attirando un folto gruppo di appassionati.
Dal 2007, anno nel quale si cominciarono i calcoli d'affluenza, i partecipanti sono stati 347.000, 7.700 gli artisti, 750 concerti e oltre 2.700 gli eventi. Nello scorso mese di luglio 2014 i biglietti staccati sono stati 10.949, in leggero calo rispetto agli 11.655 del 2013, calo dovuto principalmente dalle avverse condizioni atmosferiche che hanno funestato il fine settimana. Ciò non ha comunque fermato l'arrivo, come è stato dimostrato, di moltissimi visitatori ed appassionati i quali hanno anche preso parte ad un documentario girato dal regista valdostano Stefano Ceccon. “É il primo documentario girato e rilasciato in 4k -spiega il regista- ho scelto di utilizzare questa tecnica per valorizzare al meglio la ricchezza di dettagli della natura e dei costumi dei partecipanti. Chi ha vissuto il festival ci si ritroverà -spiega- per chi non c'è mai stato è un buon modo per conoscerlo.
Il documentario è in vendita sul sito www.celtica.vda.it a 10 euro (versione full HD) o 20 euro (versione 4k).

Per concludere l'anno 2014 in bellezza è stata organizzata la CELTICA Winter Lights domenica 7 dicembre, nella quale è stato presente il gruppo di danze irlandesi Gens d'Ys che ha animato la serata con danze di gruppo coinvolgendo i partecipanti e, in aggiunta, gradita degustazione di idromele prodotto in Valle.
E. Pala

PANEM ET CIRCENSES …La giusta formula di governo secondo i parolai del palcoscenico sansostese


È visitabile presso il Museo dei 56 comuni del Parco Nazionale del Pollino “Artemis” la mostra didattico-scientifica “TIMELINE l’alta valle dell’Esaro dall’età del Bronzo al Medioevo”, si tratta di una campionatura di reperti archeologici provenienti dal territorio di San Sosti.
Dal punto di vista scientifico, la mostra assume una straordinaria importanza poiché attesta la frequentazione ininterrotta di questa parte di territorio calabrese già a partire dal Neolitico Recente (IV-III millennio a.C.) ai giorni nostri. Ma, dal punto di vista etno-antropologico la mostra è la nostra memoria storica, le nostre radici culturali, la nostra identità; certo, non si tratta del British Museum di Londra o del Louvre di Parigi, le cui esposizioni, tuttavia, sono costituite dalle ruberie perpetrate nel corso dei secoli in “mezzo mondo”, bensì si tratta di una pur modesta ma importantissima collezione di reperti che fanno parte della nostra memoria storica, appunto, che il nostro comune ha la fortuna di ospitare. Eppure, ad oggi la è stata visitata in stragrande maggioranza da forestieri e addirittura da stranieri e i nostri compaesani? Quelli che avevano tanto “a cuore” il museo? Quelli (i signori consiglieri di minoranza) che addirittura presentarono un’interrogazione all’attuale Amministrazione sul perché non ritornavano i reperti a San Sosti? La Pro-loco? Che in una locandina addirittura si limita a scrivere “la via del vecchio carcere?” Erano solo cavolate, un modo come un altro per screditare professionisti seri, che amano stare lontani dalla luce dei riflettori (cosa invece gradita ai vari parolai) e lavorare in silenzio e con grande umiltà; un modo come un altro per  attaccare il Consiglio Comunale di cui essi stessi fanno comunque parte.
Questo è il metodo corretto per promuovere e divulgare il nostro Patrimonio Culturale? Ma la nota più dolente è l’assenza delle scuole di San Sosti…Altro mistero…! Eppure è stato di recente pubblicato il catalogo dei reperti in esposizione, già acquistato dall’Ente Parco. Le scuole? Sono fin troppo evidenti i motivi del disinteresse…
E’ vero che ultimamente sono più interessanti le favole…Più che “Paese dei balocchi” Panem et circenses, io oserei aggiungere… perché è questo il metodo di governo ideale secondo i parolai del palco scenico sansostese… E se poi vogliamo redimerci, basta solo invitare papa Francesco, visto che ormai lo abbiamo adottato e sollazzato nelle nostre cantine…


A. Martucci

martedì 24 marzo 2015

La città fortezza dei Casalini e il mistero della "Principessa"






PARTE II

Le ultime indagini stratigrafiche condotte nell'area sud-est del sito, hanno fornito nuovi importanti sviluppi nella ricerca circa la frequentazione dell'area.
E' stato scavato un lungo tratto di cortina difensiva che proteggeva il fianco ovest-est della fortificazione. Si tratta di una muratura realizzata con grandi blocchi di pietra squadrati e posti in opera con uno spesso allettamento di malta molto tenace; i dislivelli sono ripianati con zeppe di pietra e qualche laterizio. Le strutture raggiungono uno spessore di 90 cm. 
Fino al 2001 non si conosceva l'esistenza di questa ulteriore cortina difensiva, ciò sta a significare che già in età bizantina la città si era ridimensionata alla sola sommità del monte. Questa terza fortificazione è databile tra il VI e il VII sec. d.C. , siamo quindi di fronte a ciò che resta di un antico castron tardo romano. Il muro di cinta era rinforzato da torri quadrate e rettangolari; L'ingresso alla città bassa pare fosse situato sul lato occidentale dove si nota una grande porta protetta da ben due torri. Tra i reperti rinvenuti durante lo scavo si segnala un orecchino finemente lavorato che trova confronto con un esemplare rinvenuto a Costantinopoli databile tra il 530 e il 550 d.C.; Un fermaglio per capelli in osso decorato ad incisioni e una fibula femminile; In associazione a questi elementi sono stati rinvenuti frammenti della calotta cranica umana: ciò significa che questi materiali provengono dalla distruzione di una sepoltura femminile che, in base alla raffinata qualità degli oggetti rinvenuti, è da ritenersi siano appartenuti ad una figura di alto rango. 
Da qui nasce il "Mistero della Principessa dei Casalini".
Chi era la misteriosa dama? 
Solo nuove campagne di scavo in estensione potranno fare  luce sul mistero che avvolge questa straordinaria figura vissuta 1600 anni fa.


sabato 14 marzo 2015

La città fortezza dei Casalini

PARTE I

La città fortezza dei Casalini, impropriamente denominata "Artemisia", si eleva ad una quota di 896m s.l.m. , posta all'imbocco del fiume Rosa, sulla sommità del Monte Milora a strapiombo sulla Basilica Regionale della Madonna del Pettoruto.
Le evidenze monumentali si riferiscono ad un "castrum" bizantino costruito tra il IX e il X secolo d.C. su un contesto abitativo molto più antico. Le prime tracce di vita risalgono al Paleolitico Finale (VI - VII millennio. a.C. ), consistenti in frustoli di ceramica ad impasto cruda con decorazioni graffite sulle superfici esterne, in prossimità della spalla e del ventre oppure di frustoli di ceramica ad impasto cotti in fornaci "a catasta". Ma la fase meglio documentata dagli scavi archeologici del 2001 e del 2003 condotti dalla Cattedra di Archeologia Cristiana e Medievale dell'UNICAL è quella del Neolitico Recente: è stato rinvenuto il battuto di una capanna databile tra il IV e il III millennio a.C. ; Qui sono stati rinvenuti numerosissimi frammenti di ceramica d'impasto ed uno strato di cenere fossile che raggiunge uno spessore di 10 cm il che attesta una frequentazione piuttosto lunga dell'ambiente abitativo. E' particolarmente presente l'ossidiana, cioè una roccia vulcanica vitrea che veniva usata come mezzo di scambio (una sorte di monetizzazione). La presenza dell'ossidiana attesta i rapporti tra l'abitato preistorico dei Casalini e la costa Tirrenica. La capanna risulta tagliata da un grande edificio a pianta quadrangolare di età bizantina (X - XI sec. d.C. ).
Anche l'età del Ferro è attestata dalla ceramica ad impasto e, in qualche caso, dipinta.
Non si hanno attestazioni di frequentazione per l'età greca, fatta eccezione per qualche frustolo di ceramica a vernice nera, comunque decontestualizzata.
L'età romana è attestata dal rinvenimento di alcuni frammenti di ceramica "Sigillata chiara" di tipo cartaginese databile tra il II e il III sec. d.C.
Ma i reperti più importanti sono una cospicua porzione di anfora di provenienza cartaginese (III - II sec. a.C.) e un sestertio in bronzo dell'Imperatore Adriano.

mercoledì 11 marzo 2015

LA MISSIONE “ANTICA BABILONIA - Stefano Carbone racconta: “Ho attraversato un Paese spezzato che non esiste più”

Il Ministero per i Beni e le attività Culturali, in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica di Messina ha aderito all’iniziativa internazionale “Antica Babilonia” che ha come obbiettivo la catalogazione e la divulgazione dell’immenso patrimonio culturale dell’Iraq, culla della civiltà mondiale. Le tristi vicende degli ultimi venti anni, che hanno visto come protagonista la terra di Hammurabi e di Sargon III il Grande, hanno lasciato ferite profonde che difficilmente potranno essere rimarginate. Danni immensi ed incalcolabili ha subito il patrimonio archeologico di quella terra. Dieci anni fa, le forze della Coalizione invasero l’Iraq per rovesciare Saddam Hussein. L’attacco principale cominciò il 20 marzo 2003, anche se le truppe Usa riuscirono ad entrare nella capitale solo tre settimane dopo. Nel caos che seguì, il Museo di Baghdad fu ampiamente saccheggiato, dal 10 al 12 aprile. Questo causò un’ondata di proteste internazionali dal momento che gli americani non erano riusciti a proteggere il museo, uno dei più importanti del Medio Oriente. Grosso modo 16.000 pezzi furono rubati, dei quali circa la metà è stata alla fine recuperata. Secondo John Curtis, curatore del museo, almeno 8.000 oggetti mancano ancora all’appello, per quanto il numero esatto ci sia sconosciuto. Tra i pezzi più importanti ci sono la placca di avorio che ritrae una leonessa e quasi l’intera collezione di sigilli cilindrici. Molto del materiale che si trova ora nei magazzini è in condizioni pessime. Alcuni materiali sono stati gettati fuori dalle teche durante il saccheggio e calpestati. Durante il primo anno di governo della Coalizione, i musei e i siti archeologici dell’Iraq sono stati costantemente sulla stampa, ma da allora la situazione ha avuto una copertura molto più limitata. La sicurezza è rimasta un problema costante, con un’ininterrotta serie di attentati e scontri a fuoco. Questo ha reso molto complicato il lavoro del personale dei musei o dei siti archeologici. I rischi per la sicurezza sono stati anche maggiori per gli stranieri, e questo ha presto significato l’impossibilità per gli specialisti internazionali di visitare il Paese (se non per viaggi assai brevi sotto protezione armata). Molti siti sono stati danneggiati, alcuni sono stati distrutti durante i combattimenti, altri ancora come Ninive si trovano in uno stato di abbandono, circondate da mine anti-uomo. Un tempo questo era uno dei siti archeologici più importanti e visitati del Medio-Oriente, ora è abbandonato alla desolazione, alla mercè dei contrabbandieri di opere d’arte senza scrupoli, che vendono la storia della loro terra per pochi dollari. Bisognava intervenire immediatamente e concretamente per cercare di salvare l’immenso patrimonio archeologico iracheno e non solo, documentare e catalogare il patrimonio archeologico del vicino Iran da qui l’iniziativa, promossa dell’UNESCO di dar vita all’”Operazione Antica Babilonia”, cui ha subito aderito il nostro Paese, in primo luogo la Soprintendenza Archeologica di Messina. Ciò è stato possibile grazie all’appoggio delle forze alleate attualmente stanziate in Iraq che hanno accettato di scortare gli operatori di “Luma Film”, una Società di Produzione di grande esperienza, in grado di realizzare qualsiasi produzione cinetelevisiva, fondata agli inizi degli anni ’60 dal maestro Nino Oliviero, noto musicista autore di colonne sonore di films importanti. Tra gli operatori televisivi e gli archeologi della missione “Antica Babilonia” c’è anche il nostro collaboratore Stefano Carbone, ricercatore presso la Soprintendenza di Messina che ha raccontato la sua esperienza vissuta in prima persona in quella terra martoriata da 20 anni di guerra (gli spezzoni più significativi di questo video-reportage sono visitabili su Youtube e sul sito http://www.lumafilm.it/primopiano/iran-persepolis/ ). “E’ molto difficile raccontare quello che ho visto e vissuto in Iraq durante le tre settimane di viaggio, un Paese bellissimo che lascia senza fiato, una terra incantata, un paesaggio lunare, dove il tempo è stato sconfitto. Quando arrivai nella terra del Tigri e dell’Eufrate, fui preso di un’emozione tale da restare quasi senza sensi, pensare che ero nelle terra dove ha avuto inizio la civiltà. La terra dei grandi re del passato. Fino a pochi anni fa non avrei immaginato lontanamente che avrei vissuto un’esperienza simile...proprio io che credevo che niente e nessuno mi avrebbe stupito più di tanto…intanto proseguivamo verso Nord-Est, scortati dai soldati italiani, ad un tratto la meraviglia delle meraviglie… ecco che si presentava dinnanzi ai nostri occhi la città di Ninive, dove dimorò il grande re Assurbanipal. Le sue mura possenti, le sue grandi torri, la grande ziggurat sembrava che ci stessero aspettando dandoci il benvenuto; ad un tratto la meraviglia per tanta bellezza lascò il posto allo sgomento, fummo presi da uno stato d’angoscia indescrivibile nel vedere le ferite che i feroci combattimenti avevano lasciato. La domanda che tutti ci ponevamo in un silenzio surreale era chi ha osato tanto? Chi ho osato profanare tale bellezza? Quale uomo può mostrare così tanto disprezzo verso ciò che è bello? La grande Porta del Cielo (l’ingresso alla città sacra degli antichi Assiri), attraverso la quale era solito passare il re Assurbanipal in processione era stata ferita a morte, sfregiata per sempre, ma è ancora li, dopo 3000 anni la porta sacra resite anche alla ferocia dell’uomo moderno, alla violenza di una guerra combattuta in nome del dio denaro. Questa era la nostra prima tappa, qui dovevamo girare le prime riprese, io dovevo commentare le immagini. Avevo preparato molti giorni prima ciò che avrei dovuto dire nel documentario, mi ero studiato per bene ogni singolo edificio, ogni singola struttura, mi sentivo preparato e pronto… ma non potevo immaginare lo spettacolo che si sarebbe presentato davanti ai miei occhi. Così decisi di mettere da parte il testo che avevo preparato e con un nodo alla gola incominciammo le riprese; a quel punto capii le vere motivazioni perché eravamo lì: decidemmo che non dovevamo girare il solito documentario per turisti…la nostra doveva essere una denuncia di un crimine gravissimo commesso contro l’Umanità intera da gente senza scrupoli, senza moralità…senza cuore. Ma non potevo immaginare che la mia più grande delusione mi aspettava al rientro in Italia: il nostro lavoro in Iraq, fatto con il cuore, non è piaciuto, è stato snaturato. Ci dovevamo limitare a descrivere le bellezze e nascondere le brutture della guerra, dovevamo convincere la gente che tutto sta tornando alla normalità in Iraq…La verità è un’altra, ho attraversato un paese piegato, spezzato, un paese che non esiste più, un popolo al quale è stata tolta la dignità, privato dalle sue gloriose origini. Ma la mia ansia cresceva di ora in ora perché ci accingevamo a lasciare l’Iraq per entrare in Iran, terra ostile a noi occidentali, un popolo con il cuore gonfio di odio verso tutti coloro che portano la Croce. L’intera missione era spaventata, nonostante le rassicurazioni che erano state fatte ai responsabili dal Governo Iraniano. Sapevamo che lì potavamo anche morire. Giunti al chek-point fummo presi un consegna dai soldati iraniani. Ero giunto nella terra del glorioso impero persiano la terra di Dario il Grande, la terra che fece innamorare persino Alessandro Magno. La destinazione era Persepoli, la città più bella in assoluto di tutto il Medio Oriente. Durante il viaggio rimasi sbalordito, mi resi conto che la mia paura iniziale era assolutamente infondata, ero incredulo, perché la gente del posto ci accoglieva con un sorriso e anche con curiosità, l’unica richiesta che mi sembrò strana fu quando uno degli ufficiali iraniani ci raccomandò di non indossare pantaloncini corti, magliette con scritte in inglese, occhiali troppo scuri, mentre alle donne raccomandarono di non mostrare scollature troppo vistose. Finalmente giungemmo a Persepoli...a stento riesco a trasmettere l’emozione che provai nel contemplare tanta meraviglia. Quali sapienti mani erano state capaci creare tanta bellezza? Ero davanti alla porta principale che dava l’accesso alla città, ero al cospetto di due grandi sfingi alate che dovevano incutere sacro timore a chiunque si accingesse a passare. La mia domanda è se questi due millenari guardiani riusciranno ad assolvere il loro antico compito ancora per molto o saranno sopraffatti dalla follia, figlia del fanatismo. A distanza di 7 mesi ancora mi torna alla mente la donna di una certa età che a Teheran mi raccontava della vita prima della Rivoluzione. Da giovane ha viaggiato in Europa e vissuto a Londra, a Roma. Ora non le sarebbe possibile uscire così facilmente dal suo paese per le difficoltà di rilascio del visto e per il basso valore della moneta locale. Dice di essere mussulmana, ma il suo Dio lo prega tra le mura domestiche, perché la vita nelle moschee è solo falsità; il suo paese è stato rovinato da questa religione che soffoca la politica, lei non lo ama più. Ma riconosce che l’Iran è bello e ci augura di godere delle sue bellezze.

lunedì 9 marzo 2015

I TESORI DELL'ARTE NELLE MANI DELLA MAFIA



In Svizzera c'erano cinque depositi pieni di reperti archeologici di grandissimo valore. Ma il vero patrimonio ritrovato dagli inquirenti è l'archivio segreto dei trafficanti. Migliaia di foto e documenti che riportano provenienza, valore, destinazione e acquirenti di capolavori scomparsi da anni. Il dossier, cercato a lungo dai carabinieri del Nucleo tutela del patrimonio e dall'FBI, permette di ricostruire decenni di razzie. E il primo risultato è stato chiarire la provenienza della "Bella Addormentata", splendido sarcofago romano recuperato negli Stati Uniti. Tutto questo all'ombra di Matteo Messina Denaro, l'ultimo boss di Cosa Nostra ancora latitante. C'era un tesoro di valore inestimabile nascosto in Svizzera, rientrato in Italia. Lo avevano scovato, nel 2001, i Carabinieri del Nucleo tutela patrimonio culturale (Tpc) dopo anni di indagini, seguendo le labili tracce che partivano dalla Sicilia nord occidentale, da Castelvetrano, comune in provincia di Trapani. Territorio dove si trova il parco archeologico più grande d'Europa, Selinunte, e non lontano, verso Mazara del Vallo, il tratto di mare più ricco di relitti e opere d'arte inabissate. Lì è passata la storia, a bordo di navi cariche di bottini di guerra strappati dai romani alla distrutta Cartagine, o di tesori depredati dai barbari con la caduta dell'Impero romano. In questo scenario si muovono conoscitori, amanti dell'arte e tombaroli, invischiati nel traffico di reperti archeologici, armi e droga. Un intreccio di interessi che vale miliardi di euro: quello dell'arte è il quarto mercato più redditizio del crimine internazionale. A volte sostituisce persino la classica bustarella come tangente per accaparrarsi appalti e lavori. Un filo invisibile si dipana in quest'area della Sicilia, una linea sottile che sembrerebbe unire il super latitante Matteo Messina Denaro a Giuseppe Fontana (oggi detenuto), a insospettabili antiquari, uomini d'affari, alcuni curatori dei maggiori musei d'arte del mondo. Fra questi spunta, sulla base di un'indagine in corso da parte dei carabinieri, anche il nome di Gianfranco Becchina, noto mercante d'arte di Castelvetrano e oggi proprietario di due cementifici e dell'etichetta "Olio Verde", con cui commercializza l'extra vergine che produce nelle sue campagne. Considerato dalle forze dell'ordine un personaggio importante nel traffico di opere d'arte, mai condannato perché - come spiega il maggiore dei carabinieri Antonio Coppola - "il suo reato è finito in prescrizione – Ora Becchini è in carcere. A Becchina sono stati confiscati, dopo una lunga querelle con la Svizzera, i cinque magazzini stracolmi di opere d'arte. Veri e propri scrigni dove erano custoditi 5mila reperti archeologici, tesori dal valore inestimabile. Molti, sempre secondo i carabinieri Tpc, "provenivano da scavi clandestini (Puglia, Calabria, Sicilia) e adesso potranno finalmente rientrare in Italia". Questo patrimonio unico poteva contare, come quartier generale, sulla Galleria Palladio Antique Kunst di Basilea, il cui proprietario era proprio Gianfranco Becchina. Ma c'è di più: nei cinque magazzini è stato trovato un gigantesco archivio, quello che l'FBI chiamava il "Becchina dossier", di cui i carabinieri sono finalmente entrati in possesso. Chi è Gianfranco Becchina? Lui si definisce così: "Un mecenate, un collezionista, estraneo a ogni tipo di vendita illegale di oggetti d'arte. Prima, su di me, indagò Paolo Borsellino, dopo la sua uccisione, il procuratore Gian Carlo Caselli, fu un'indagine sprecata, soldi dello Stato gettati al vento, ho smesso di essere un mercante d'arte dal 1994, e nel 1996 mi sono anche cancellato dal registro dei commercianti". Conosciuto da tutti a Castelvetrano, Becchina è proprietario di diversi edifici di grande interesse storico e artistico, come il Palazzo ducale dei principi Pigantelli Aragona Cortes Tagliavia. Situato nel cuore del centro storico di Castelvetrano, il palazzo era in realtà l'antico castello "Bellumvider" realizzato nel 1239 per accogliere Federico II. Becchina è pure in possesso di un bellissimo feudo dove oggi vive, a suo tempo appannaggio, anche questo, dei principi Pignatelli Cortes. Un parco di 25 ettari non lontano dai templi greci dell'area archeologica di Selinunte, con tremila ulivi dai quali produce il suo olio. "Non è un olio qualsiasi - spiega l'archeologo Tsao Cevoli, presidente dell'Osservatorio internazionale archeomafie e direttore del master in Archeologia Giudiziaria e Crimini contro il Patrimonio Culturale - Con il suo olio hanno condito l'insalata Clinton e Bush, perché è accreditato nientedimeno che come fornitore della Casa Bianca. Inoltre ha due grosse aziende produttrici di cemento: la Heracles in Grecia e la Atlas srl in Sicilia".


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Massimo Valerio Rogers

venerdì 6 marzo 2015

GIUSTIZIA E’ FATTA! È finalmente libero il modello Theo Theodoridis

Il 21 Giugno del 2009 il modello greco Theo Theodoridis era stato condannato in prima istanza a 18 anni di carcere con l'accusa di detenzione e spaccio internazionale di stupefacenti. Ma lui si è sempre proclamato innocente nonostante abbia ammesso di fare uso di cocaina. Il punto è proprio questo: fare uso si sostanze stupefacenti non ha nulla a che vedere con il reato contestato dall'accusa, quindi con la spropositata condanna. Ma, nuove elementi di prova scagionanti ed una forte pressione di migliaia di persone a sostegno della sua innocenza hanno condizionato positivamente l’esito del processo in appello.
Chi scrive, ha chiesto e ottenuto l'aiuto ad "Amnesty International" finchè venisse riesaminato il suo caso e così è stato, anche grazie alla solidarietà di migliaia di persone che hanno fatto recapitare le loro firme alla redazione di "Martus Editore", ad alcune testate giornalistiche, come la Gazzetta del Sud, che ha seguito con grande interesse e umanità il caso di Theo; ad alcuni comuni italiani (che hanno espresso la loro solidarietà): Milano, Napoli, Taranto, Messina, Firenze.
Theo ha trascorso ben 5 anni nel carcere di massima sicurezza Diavata di Thessalonica, in condizioni disumane. Cinque anni della sua vita che nessuno potrà mai restituirgli. Ma tutto è bene quel che finisce bene, dopo una serie di rinvii delusioni, Theo è di nuovo libero ed è ritornato al suo posto ed al suo lavoro di modello.
Durante un'intervista alla televisione privata "MIA" ha ringraziato tutti quelli che hanno creduto nella sua innocenza e lo hanno sostenuto.
A.Martucci




Le scoperte degli ultimi anni confermano: RISALGONO AL 1 400 AVANTI CRISTO LE PRIME TRACCE D’INSEDIAMENTO A SAN SOSTI.

Fino a poco tempo fa si faceva risalire la fondazione di San Sosti al XVI secolo dopo Cristo ad opera degli Albanesi in fuga dalla persecuzione turca. Questa però era la tesi di semplici appassionati di storia locali non correlata da alcun dato scientifico. Anche per quanto riguarda il nome, in passato sono state avanzate ipotesi assolutamente fantasiose: si faceva risalire l’origine a “Santa Sosta”, cioè, riferito al fatto che era luogo di sosta per i pellegrini che si recavano al Pettoruto.
Ma già a partire dagli ultimi anni Novanta, queste favolette al quanto fantasiose, incominciano ad essere smentite da una ricerca seria, condotta con metodo scientifico. I primi dati furono acquisiti durante i lavori di restauro della chiesa madre di Santa Caterina di Alessandria. Durante il fermo dei lavori deciso dalla Sovrintendenza per i beni Architettonici della Calabria fu condotto un saggio di verifica nella zona presbiteriale della navata destra. In quella occasione furono riportati alla luce i resti di strutture murarie che facevano parte della prima chiesa di età bizantina. Dalla ricerca stratigrafica sono stati recuperati frammenti di ceramica invetriata databili tra il X e l’XI secolo; ma l’elemento datante più importante è un follis (moneta in bronzo) dell’Imperatore d’Oriente Leone III Isauro, risalente al 717/720, conservato presso il Museo Nazionale della Sibaritide.
Ma furono gli scavi archeologici all’interno della chiesa del Carmine che spostarono la datazione di almeno 2 500 anni.
Lo scavo, iniziato i primi di Febbraio e terminati i primi di Aprile 2004, condotto dalla Sovrintendenza per i Beni Archeologici della Calabria in collaborazione con la Cattedra di Archeologia Cristiana e Medievale dell’Unical, ha restituito le prime tracce di frequentazione umana dell’area dove attualmente sorge il centro abitato, risalenti al XIV-XIII sec. a.C., consistenti in una porzione del battuto di una capanna protostorica e diversi frammenti di vasi acromi e dipinti risalenti a quel periodo. In base a questi ritrovamenti si può affermare con certezza che il primo nucleo abitato di San Sosti risale almeno al XIV secolo prima di Cristo. Lo scavo eseguito nell’area presbiteriale ha restituito una sequenza stratigrafica ininterrotta (sia pure disturbata da rimaneggiamenti avvenuti nel corso dei secoli), dall’età protostorica al tardo-Medioevo. Ad una quota di livello superiore rispetto alla capanna dell’età del Bronzo è stato riportato alla luce parte di un muro a secco, ciò che rimane di un santuario greco risalente alla fine del VI sec. a.C.
A livello di fondazione del muro sono state rinvenute tre fosse votive, di cui solo una ancora sigillata al momento del rinvenimento e non disturbata, colma di oggetti votivi miniaturistici. Era usanza presso i greci e i romani scavare delle buche nei santuari e riempirli con gli ex-voto offerti dai fedeli. Da una di queste fosse proviene la testina in terracotta raffigurante la dea Atena, risalente al V sec. a.C., numerosi frammenti di statuette di divinità femminili stanti o in trono e un cospicuo frammento di scultura maschile. Particolarmente interessante è la porzione di statuetta maschile, nuda e stante. Si tratta di ciò che rimane di una piccola scultura di un kouros, cioè un giovane atleta in atteggiamento auto-celebrativo, simbolo della vittoria ai Giochi Olimpici; questo rinvenimento potrebbe costituire un ulteriore indizio per l’individuazione del luogo del rinvenimento della scure martello conservata presso il British Museum di Londra.
Sono piuttosto frequenti i rinvenimenti archeologici sia nel centro storico, sia nelle periferie: in via Piano della Fiera, durante i lavori per la realizzazione del metanodotto sono stati rinvenuti due contesti di età romana imperiale; nel primo caso (di fronte la croce del cimitero) si tratta di una grande struttura rettangolare, di età tardo-romana; nel secondo caso (stazione Carabinieri), si tratta di una struttura di età romana, risalente al I-II sec. d.C.
In via Cavour (non molto lontano dalla chiesa del Carmine), durante i lavori di restauro e consolidamento strutturale (abitazione del Sig. Vito Romolo), sono ritornati alla luce centinaia di frammenti ceramici e porzioni di strutture murarie di età romana. Tra i numerosi reperti, una moneta in bronzo (sesterzio) dell’imperatore Vitellio (69. d.C.) e una porzione di bottiglietta porta-profumo databile tra il IV e il III sec. a.C.
I reperti sono attualmente conservati presso il Museo Nazionale della Sibaritide.
Anche in via Prato (u Suppuartu) è stato riportato alla luce un importante contesto archeologico inspiegabilmente distrutto in corso d’opera: un tratto di basolato di età romana e molti reperti archeologici, raccolti dallo sterro e consegnati alla Sovrintendenza per i Beni Archeologici della Calabria. Tra questi si segnala una cospicua porzione di Anfora del tipo Dressel L1 (III-II sec. a.C.), frammenti di ceramica a “pasta grigia” di tipo metapontino (III-II sec. a.C.), un cospicuo frammento di coppa in sigillata chiara (I-II sec. d.C.).
La collina dove attualmente sorge il centro abitato di San Sosti presenta, dunque, una continuità insediativa ininterrotta dall’età del Bronzo medio (XV-XIV sec. a.C.) fino ai giorni nostri.


A. Martucci

THE INDIAN SUNSET UN FENOMENO MUSICALE MADE IN ITALY CHE RIPROPONE LE ATMOSFERE PSICADELICHE DEI MITICI DOORS È il cantante Vincenzo Oliva il segno distintivo della band



E' la migliore tribute band ai Doors del momento. The Indian Sunset può vantare esibizioni di una certa levatura come " Feast of Friends Festival" di Magdeburgo, in Germania nel 2013 e nel 2014; presso il Gazarte di Atene, nel 2013; presso l'Urban Music Club di Perugia; al "Feast of Friends Party", nel 2012; al raduno nazionale The Doors a Pesaro, nel 2012; all'Urban Music Club di Perugia nel 2013 e moltissimi altri appuntamenti.
Colonne portanti della band sono tuttavia sono il piano-basso (Alessio Bannò) e sopratutto il cantante Vincenzo Oliva. E' Vincenzo il segno distintivo del gruppo, proprio come lo era Jim Morrison per i Doors: nelle uniche due registrazioni in studio (almeno quelle pubblicate su internet), "Break on through" e "Riders on the storm" il cantante di "The Indian Sunset" offre un'interpretazione magistrale dei due brani più famosi della band californiana. In "Riders on the storm", addirittura ci si potrebbe confondere con il pezzo originale dei mitici Doors, se non fosse per alcune piccole imperfezioni negli arrangiamenti musicali, la voce è assolutamente calda e ipnotica, il testo scorre con una coerenza impressionante con l'originale, in alcuni tratti sembra di ascoltare la voce di Morrison; mentre in Break on through, Vincenzo offre una sua versione personalizzata di questo brano che Morrison amava particolarmente.
Grazie proprio il carisma del cantante (ancora una volta) che la band sta raccogliendo un grande consenso di pubblico; in poco tempo dalla loro formazione (2010), ha conquistato il cuore degli appassionati, incontrando persino il favore di Morgan.
È un vero peccato che la band non abbia prodotto un CD e dei video professionali dei concerti più importanti.
Un fenomeno musicale, The Indian Sunset che sa riproporre la teatralità e le atmosfere psicadeliche di uno dei più grandi gruppi americani degli anni Sessanta: The Doos, protagonisti della scena musicale statunitense e mondiale degli anni Sessanta e ispiratori della rivoluzione culturale di quel periodo.







  Ade. Cauterucci

Il metodo Bonaparte Vincitori e vinti nella corsa al Quirinale, nella consapevolezza che, da domani, cambierà tutto. E non cambierà nulla.



L’elezione di Sergio Mattarella al Quirinale, con un consenso notevole anche rispetto alle posizioni ufficiali delle forze politiche, è stata considerata unanimemente come un “capolavoro politico” di Matteo Renzi. I dubbi e le perplessità di chi vedeva l’imposizione di un candidato “esterno” al patto del Nazareno come un azzardo ed un problema per la tenuta della stessa maggioranza di Governo, sono stati spazzati via dalla decisione di Angelino Alfano di votare al quarto scrutinio “il candidato unico” del PD. Così come le minacce di chi ora parla di “tre maggioranze da gestire” e ipotizza scossoni nel percorso di riforme costituzionali sembrano piuttosto velleitarie (come farebbe Berlusconi a giustificare una retromarcia su leggi e riforme già votate più volte?).
Insomma, la tattica di Matteo Renzi ha messo Alfano e Berlusconi con le spalle al muro: il primo, da ministro dell’Interno, non avrebbe potuto “non votare” il candidato avanzato dal capo del Governo senza trarne le estreme conseguenze e lasciare la maggioranza (e, come noto, la prospettiva di tornare all’opposizione o peggio ancora alle urne è terrificante per gran parte dei parlamentari centristi); il secondo, privo di agibilità politica, stretto fra un partito in disfacimento, gli interessi personali, gli “agguati” dei fedelissimi e l’assenza di alternativa, non ha avuto la forza (né la possibilità, ad onor del vero) di strappare del tutto. Inoltre, la mossa di Renzi (l’imposizione del candidato “perfetto”) ha compattato il Partito Democratico (con la minoranza che non ha potuto, e forse voluto, insistere sulla carta “Prodi”) e ha “distolto” Sel dal perseguire strade alternative (nel lungo periodo ben più pericolose per l’ex rottamatore), dal momento che non era un mistero la considerazione dello stesso Vendola per Mattarella. “Tutte queste cose con lo stesso Parlamento che solo due anni fa si era reso responsabile di quel grande e famigerato fallimento nella ricerca di un successore di Napolitano”. Condizioni mutate proprio “grazie” all’intraprendenza e alla spericolatezza politica di Renzi, che dopo aver forzato i tempi ed i modi del suo approdo alla Presidenza del Consiglio, non ha lasciato nulla di intentato, accelerando e frenando a seconda del momento, ma mantenendo costantemente l’iniziativa, senza mandare mai la palla nel campo opposto.
È lui che decide, è lui che muove i fili, su questo ci sono pochi dubbi. Non ci sono retroscena, dietrologie o complottismi che reggano.
È una versione edulcorata e ragionevole di bonapartismo, quella che propone Renzi. Che dal punto di vista della prassi politica, in attesa della riforma costituzionale (e forse dei regolamenti delle Camere), si nutre della commistione fra i livelli (esecutivo e legislativo), del “fastidio” per i tempi lunghi della dialettica parlamentare, delle prove di forza, dell’utilizzo sistematico di decreti e questioni di fiducia. E che dal punto di vista comunicativo fa della disintermediazione una componente essenziale, che concorre a determinare continuamente immagini di alterità e conflitto: il nuovo contro il vecchio, il fare contro il discutere all’infinito, il progresso contro il conservatorismo. Quasi “a prescindere” dalla discussione di merito e dai bilanci reali. E con abbondanza di promesse ed “orizzonti di speranza”. La scelta di Mattarella si inserisce completamente e perfettamente in questo contesto. Ed è una chiara indicazione di ciò che ci aspetta: non la fine delle larghe intese sulle riforme, non la crisi della maggioranza, non la ritrovata unità del partito, ma la completa subordinazione della politica italiana alla figura di Matteo Renzi, con l’uscita di scena del “tutore” Napolitano e l’azzeramento definitivo dei “vecchi competitor”. Che ciò sia un bene “a prescindere” non è cosa che ci sentiamo di assicurare. Che ciò continui per anni, nemmeno. Dipenderà, stavolta sì, dagli altri, quelli che ora sono ai margini, Salvini e grillini soprattutto: se saranno capaci di elaborare una proposta coerente e completa, si giocheranno la partita del consenso. Che poi è quella che conta, anche per il Bonaparte fiorentino (il “vampiro del consenso“).


Tratto da fanpage.it di Adriano Biondi